TRA WUNDERKAMMER,
CATALOGHI E ASSEMBLAGGI:
LO STATO DELLE COSE
Il pensiero è un abisso
IMAGERIE, CATALOGHI, INVENTARI. DEDICATO A RAFFAELLO BALDINI.
IL PENSIERO È UN ABISSO
DAL 21 NOVEMBRE 2015
AL 28 FEBBRAIO 2016
MUSAS
via della Costa, 26
SANTARCANGELO DI ROMAGNA
opere di
Giacomo Cossio
Massimiliano Fabbri
Gilberto Giovagnoli
Mariano Marini
Ilaria Margutti
Valentino Menghi
Rudy Mazzoni
Gregorio Ravaioli
Denis Riva
Fabrizio Zanuccoli
inaugurazione della mostra collettiva
SABATO 21 NOVEMBRE 2015 / ORE 17.30
“(...) e beh, la roba la devi ammucchiare, d'accordo, ma non devono essere dei mucchi, così, alla rinfusa, la roba deve avere un suo ordine, una sua disposizione, e la disposizione deve essere giusta, deve piacere, deve darti l'idea che ci stai insieme con questa roba, che non è solo della roba, sono delle creature, che le hai create tu."
RAFFAELLO BALDINI, La fondazione
Il nostro omaggio a Raffaello Baldini, a dieci anni dalla sua scomparsa, prende la forma di una rilettura in termini visivi del suo ultimo grande monologo poetico, La fondazione.
Una scelta affatto casuale, dovuta alla centralità che il mondo delle cose assume in questo testo offrendo in qualche misura la chiave per ripercorrere tutto quel complesso, quando non tormentato, rapporto con l’oggettività che ha interessato fortemente le arti moderne e contemporanee, passando da una messa in discussione della stessa possibilità rappresentativa a una parodia del mondo mercificato, dal kitsch ai feticci delle società spettacolari, dal riciclaggio alle pratiche di prelievo e decontestualizzazione, di innesto e collage.
Tuttavia l’incontro con la scrittura di Baldini, e con lo specifico di questo libro, genera un interessante cortocircuito delle modalità appena elencate: perché nei suoi versi gli oggetti diventano principalmente tessere di una condizione umana, estensioni concrete di una nevrosi che ha a che fare con il tempo, il rovinare del tempo, con il dramma del singolo più che con le trasformazioni subite dalla collettività.
Per lo stravagante protagonista del libro non è tanto la “roba” quanto la sua custodia, la fissazione a “tenere da conto” tutto, a porsi come vera matrice di un automatismo mentale, di una propensione a far sì che gli oggetti, i brandelli di ciò che è stato, le tracce materiali del proprio vissuto, diventino più importanti dell’esistenza stessa. E in questo accumulare per trattenere si staglia come leitmotiv la ricerca di un ordine, di una ragione: ammassare, accostare, allestire per far emergere un disegno, per rinvenire nell’opaca trafila delle cose una narrazione, un racconto.
È proprio a questo meccanismo che si allineano le tavole, i compendiari, gli assemblaggi realizzati dagli artisti in mostra, dove trovano posto, con maniacalità certosina o assecondando una casualità di cui difficile è rinvenire la logica, oggetti di ogni tipo, di uso comune o assolutamente improbabili, accomunati dal fatto di essere posti in una nuova sequenza discorsiva, in una nuova mitologia.
Scriveva Roland Barthes: “bisogna non dimenticare che l’oggetto è il migliore portatore del soprannaturale: c’è facilmente nell’oggetto una perfezione e insieme un’assenza di origine, una chiusura e una brillantezza, una trasformazione della vita in materia (la materia è assai più magica della vita), e per dir tutto un silenzio che appartiene all’ordine del meraviglioso”.
Ripristinare il meraviglioso attraverso il prosaico: perché il pensiero è un abisso e solo tramite le sue analogiche, ardite connessioni ciò che ci circonda ritorna a essere vitale. Proprio attraverso la trama che rilega l’una con l’altra le cose, attraverso la loro catalogazione, che altro non è che un mettere insieme un universo simbolico e allegorico – dove creare diventa in primo luogo ri-significare tutto quello che c’è già.